Oltrarno

Antonietta di piazza Santo Spirito
segnata dal lungo tempo
gelo e sole
le sue candeline
bianche e rosse
hanno scolpito
scavato e levigato
il volto, le mani.
Antonietta
su una panchina
un po’ di formaggio
una fetta di pane
piccoli pezzetti
staccati
con mano solenne
come fossero macigni
soppesandone il valore
condotti alla bocca
più preziosi delle pietre
riposte nei caveau,
ma senza avidità alcuna
senza ingordigia
offrendo addirittura
la condivisione.
Poi la caduta
un pezzo sfuggito
a terra
la naturalezza
con la quale lo raccoglie
da terra
nel mentre domandava
e si preoccupava
se stessi bene
lei
sola
giovane da più tempo
senza casa
alla quale volevano marchiare
l’identità senza dimora
come se non aver qualcosa
fosse parte del suo io.
La nobile Antonietta
di piazza Santo Spirito
d’Oltrarno
oltre ogni divisione
creata dalla natura
creata dall’uomo
senza nulla
non chiede nulla
indifesa
interessata e preoccupata
per gli altri.
Alla povera Antonietta
avevano tolto il lavoro,
poi la casa, poi l’identità
e quindi anche il diritto
all’assistenza sanitaria.
Le avevano tolto tutto,
ma Antonietta non chiede
non chiede nulla per sé
non per orgoglio,
ma perché è abituata
a non aspettarsi nulla
è abituata
a vivere di nulla.
Con il suo preoccuparsi
mi diede la forza
e capii
che anche preoccuparsi
di qualcuno
poter aiutare
qualcuno
anche solo
con una parola di conforto
fa sentire vivi e utili
perché c’è qualcuno
che ha bisogno di te.
Quel giorno Antonietta
si risentì viva
quel giorno io
riscoprii il valore della vita.
Grazie Antonietta.
Oltrarno
oltre il fiume
attraverso il vecchio.

Angelo
(13-Dicembre-2019)

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La Berta

Chissà quanti passi mi avrà visto fare!
Se li avesse contati
forse mai in vita sua
riuscì a vendere sì tanti cavoli.
Andando in centro
lo saluto alla Berta è doveroso
spettatrice del mio ridicolo vagare
talvolta mi par di vederla
scuotere il capo
pensando alli grulli
che vanamente frullano sotto di lei.
Alle sue spalle, dietro lo muro
anche gli angeli vogliono scendere
dalle strette cornici grondano nubi
e i piedi si librano nell’aria
stanchi di volare
scalpitano anch’essi per far due passi.
Ti son grati li contadini
per lo avvertimento della campana tua
lo passo svelto e lo sasso in mano
quando la tarda ora s’appresta
con la paura d’esser chiusi fora
lo avvertimento della campana
ad avvisar tutti di far lo passo lungo
e di raggiunger lo riparo.
La campana della Berta
sparita or che non vi son più le mura
che le belve son dentro e fora
e non v’è riparo alcuno
specie nella fortezza
prigione della sua stessa testa.

Angelo
(04-Agosto-2013)

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Le meteore del limbo

I piedi nudi
quasi a voler sentirne le vibrazioni,
ma dalle fredde pietre
le candide voci soffuse
sembran sopite.
Cuccioli che non videro
lo mondo nostro
lo cui bagliore in cielo
si spense
meteore sospese
che non s’immersero nell’acqua
per mano di colui
che di cavallette e miele selvatico
sostenne lo corpo
nello deserto.
Punite per aver brillato
solo in cielo
senza aver portato in terra
lo dono della luce loro
e così viltà umana immerse
nello fango della dimenticanza.
Dopo secoli ancor soli
in quella minuta piazza
dove persino la magna casa
dell’alme vostre
par persa e desolata
e delle tre porte
non ne lasciò aperta alcuna,
non abbiano le pietre
a tirar l’umido
e lo foco venir meno!
Lo sospiro dell’Arno
giunge dallo chiasso,
ma con un malsano senso
di marcio
disgustato anch’esso dallo limbo
eppur refrigerio
per colui
che siede sulli gradini
con li nudi piedi
sulle fredde verdi pietre
quasi a voler cercare un contatto
concederne una carezza,
infondere calore
sopra quelle fredde verdi pietre
che alla luce furon poco esposte
tanto che uno verde manto
dalla lontana porta in angolo
sembra voler ricoprire
la piazza intera.
Un verde manto
disteso
da un passerotto saltellante
sulle fredde verdi pietre
là dove la vita affiora
e poi vola via.
Un verde manto
sotto cui giocare
per sempre.

Angelo
(04-Agosto-2013)
(10-Marzo-2019)

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Pietrificato

Sotto lo volto di donna
tra li tanti ferma arazzi leonini
dove lo braccio della sabina
della città copre lo antico segno
dove allo possente biancone
par che garba la prigione
e persino lo vicin marzocco
scompare in lontananza
tal che par lo micio suo.
Sovente, sulla colonna allo greco leone
un piccione
sulla testa del leoncino esterno
ad osservar la copia in basso
quello più minuto e meno alato
eppur più noto e assai amato.
Difronte
lo corridoio
oh, come vorrei anch’io una salva via!
Ovunque questo posto sia
o forse
vi son già arrivato
tant’è che un folle giramondo
entrando trafelato
e ivi la gente contando
mi saltò
come se quel colpo d’archibugio
fra le bianche vene
sullo muro alle mie spalle
lo collo mio sul serio trapassò
e lo corpo
parea già pietrificato
seduto
sullo gradino amato.

Angelo
(14-Luglio-2013)

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La sabina

Non riesco a vedere più nessuno
solo tanti corpi sfuocati
un sottofondo di voci indistinte
urla, risate, confidenze
promesse, racconti, pianti
non sento più nulla
non vedo più nulla.
Innalzo lo sguardo alla sinuosa sabina
il caldo desiderio di quel corpo inerme
il suo voluttuoso contorcersi
e protrarsi al cielo
da quel lato che ne cela il volto
e sento
sento l’implorante mano al cielo
e mi rattristo per la sua sventura
rabbia
per lo vile uomo
che ne manca lo rispetto
dietro di lei
sopra di lei
merli guelfi e ghibellini
e la più alta torre della città
l’azzurro
il sole sul palazzo.

Angelo
(06-Luglio-2013)

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Una luce diversa

Curioso, come lo stesso posto
possa dare impressioni diverse
e possa imprimere un suo segno
nel più profondo
o sfiorare appena
dando un brivido leggero.
La vista dal tetto di rose della città
nel suo più profumato splendore
magari senza l’invadente ferraglia
delle braccia meccaniche
col sole che accende i colori
l’azzurro che risalta i contorni
o quando ormai la sera
dopo una lunga calda giornata
le rose sembrano essersi sciolte
sullo sfondo
donando se stesse
i loro colori.
Quelle viste
giustificano la ricerca
e il ritorno
poiché ciò che può sembrare
sempre lo stesso
è in realtà come la vita
che s’illumina
solo quando c’è amore.

Angelo
(01-Gennaio-2017)

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Sul tetto della città

Camminare senza interesse alcuno
camminare schivando i corpi
camminare attraverso quel ponte
dove lo vento contrario
allo fluire delle acque
contrario
allo stupido rifiuto
della vita stessa
spinge con forza di tre dee
l’inerme corpo lontano dal ciglio
a riprendere lo cammino
fino allo tetto di rose della città
scoprendone lo verde paesaggio denudato
dell’ormai passato momento
ove persino delle tegole rosse cadute
non v’è più traccia alcuna
asciugati al sole
e dispersi a terra dal vento
così quei petali
così i tristi pensieri
lasciati sul tetto della città
per assaporare il profumo
del fiore futuro.

Angelo
(30-Maggio-2017)

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Lo scudo

La vita nuova
queste le parol che mi trovai
dritte dinanzi a me
sullo scudo di un simil marzocco
mentre vagavo
alla ricerca di uno riparo
mentre vagavo
con lo panciabatta sottobraccio
mentre vagavo
con qualche fetta di finocchiona
alla ricerca di un posto sicuro
un posto dove consumar lo pasto
con gli occhi rossi e bassi
che alzai solo all’ultimo
prima di sbatter sullo scudo
con la mia lancia.
La vita nuova
e mi son fermato
la vita nuova
e mi son seduto
dietro lo padre dell’itali versi
dietro, poiché in altro loco
non ne sarei degno
allo fianco di quell’eterna dimora
che accoglierlo sul letto
non ha potuto.
Per quanto si possa esser soli
per quanto si possa esser afflitti
in qualsiasi momento
da qualche parte
ci si può ritrovare
dinanzi a uno scudo
che ci rimbalza a vita nuova.

Angelo
(01-Agosto-2013)

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4 – San Zanobi

Itinerario alla scoperta delle curiosità di Firenze, mi raccomando rigorosamente a piedi e a passo lento!

Esistono più versioni di tutte le leggende narrate, ma vi racconterò sempre e solo quella a me più simpatica.

Potete usare il seguente link per raggiungere la posizione.

Link alla posizione

Se siete giunti in questo posto vuol dire che state ignorando quella che a vostro fianco è chiamata la colonna di San Zanobi. Non vi preoccupate, siete normali, questa colonna è ignorata dal 99% dei turisti distratti e il restante 1% usa le ringhiere intorno ad essa per riposarsi, ma adesso non sarà più un’anonima colonna per voi!

In effetti non stiamo parlando di un monumento dall’interesse artistico, non nella città di Firenze, magari in qualche moderna metropoli avrebbe fatto la sua bella figura, ma non qui! Non a pochi passi dal quel bel San Giovanni, ovvero il battistero, così come lo definì Dante Alighieri. Battistero che all’epoca del sommo poeta aveva già più o meno trecento anni. La datazione esatta del Battistero è però incerta, dovrebbe essere dell’XI secolo, ma alcuni studiosi ritengono che la sua origine sia antecedente all’anno mille, intorno al IV-V secolo d.C., costruito sulle rovine di un antico tempio romano dedicato al dio Marte.

La colonna di San Zanobi, situata davanti alla porta Nord del Battistero, segna il punto in cui avvene un miracolo, un evento accaduto il 26 Gennaio di tanti anni fa. Giorno in cui le reliquie del defunto vescovo di Firenze vennero spostate dalla basilica di San Lorenzo alla chiesa di Santa Reparata (antica chiesa che esisteva dove adesso sorge il Duomo, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore). Durante il cammino del corteo, in pieno inverno, il sarcofago del Santo Zenobio, meglio conosciuto come San Zanobi, amatissimo vescovo di Firenze vissuto tra il IV e il V secolo d.C, sfiorò le fronde di un olmo secco che al contatto col feretro cominciò a rifiorire e ributtare dei germogli, perdipiù in pieno inverno.

Passando da questa colonna durante il mio cammino per le vie di Firenze, sorrido e spero anch’io di poter rifiorire a nuova vita! Immagino la svolta, il cambiamento, la rinascita a nuova vita spirituale!

Fiorita di San Zanobi

Seppur la leggenda vuole che il vescovo di Firenze sia stato amatissimo dal popolo fiorentino, nessuno ormai sa più il perché e molti iniziano persino a dimenticarne il nome nonostante la moderna cerimonia della Fiorita di San Zanobi. Questa festa ricorre il 26 Gennaio di ogni anno, si tratta d’un evento in stile medievale in cui un corteo storico depone una decorazione floreale ai piedi della colonna in memoria del miracolo dell’olmo.

Dalla posizione in cui vi trovate potete curiosare che a Firenze persino i bagni  hanno un certo stile! (mi riferisco solo alla facciata, non saprei dirvi il resto)

Piccolo San Giovanni

Sul portale c’è una statuetta del San Giovannino, ovvero un piccolo San Giovanni, Santo patrono della città di Firenze.

San Giovannino.jpg

San Giovanni, colui che indossava una tunica di peli di cammello, si cibava di locuste e miele selvatico, era la voce di uno che gridava nel deserto. Giovanni il Battista si definisce proprio così davanti i sacerdoti che lo interrogavano:

Io sono voce di uno che grida nel deserto

Non è preoccupato di difendersi e tantomeno vuole esaltare se stesso, non grida nelle piazze e in luoghi affollati, ma grida “nel deserto” a un’umanità arida e desolata che non ha più fede.

Ai lati del San Giovannino sono presenti i simboli dei “Mercanti” o di “Calimala”, una delle Arti Maggiori tra le corporazioni di arti e mestieri della Firenze medievale. Le Corporazioni delle Arti e dei Mestieri erano associazioni che dovevano difendere gli interessi degli iscritti appartenenti a una stessa categoria professionale. Fu anche grazie a queste associazioni che Firenze divenne tra le più ricche e potenti città dell’Europa medioevale. La prima corporazione fu proprio quella di Calimala (intorno al 1150). Le Arti proteggievano gli iscritti dalla concorrenza di altre città e da quella dei non appartenenti alla corporazione.

Calimala.jpg

Il simbolo rappresenta un’aquila che artiglia un torsello, panno grezzo arrotolato. I membri di quest’Arte importavano le materie prime per poi rivenderle dopo il processo di rifinitura.

Firenze è ricca di simboli delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, divertitevi a riconoscerli durante l’esplorazione della città, li ritroverete ovunque!

Le 7 Arti Maggiori:

Arti Maggiori

Le 14 Arti Minori:

Arti Minori_1.jpg

Arti Minori_2

Angelo
(28-Ottobre-2018)

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